Acido ialuronico, plasma ricco di piastrine, aspirato midollare autologo e tessuto adiposo sono le quattro generazioni in cui si sono evolute le terapie ortobiologiche.
La quinta potrebbe essere una soluzione per la regolazione dell’omeostasi articolare.
L’ortobiologia si sta ormai qualificando come una nuova disciplina: resa possibile dai progressi della medicina rigenerativa applicata all’ortopedia, prefigura – e in molti casi già permette – la soluzione di problematiche che qualche tempo fa non era neppure pensabile affrontare.
Anche se per certi aspetti rappresenta ancora un approccio di frontiera, alcune applicazioni sono ormai pratiche cliniche diffuse. C’è infatti chi se ne occupa da decenni, come Alberto Gobbi, professore e ricercatore presso la University of California, San Diego, e oggi presidente dell’International Cartilage Repair Society (Icrs – www.cartilage.org) la principale associazione a livello mondiale per la ricerca nell’ambito della cartilagine e della medicina rigenerativa. Gobbi, che è il primo italiano a ricoprire questa carica, è stato un pioniere nell’impiego delle staminali in ortopedia e il primo medico al mondo a utilizzare la tecnica “one step” nel trapianto di cartilagine con cellule mesenchimali autologhe.
L’Ircs è molto attiva dal punto di vista scientifico e la scuola italiana è un punto di riferimento importante per l’attività: «Due anni fa insieme a Elizaveta Kon, Stefano Della Villa e Donato Rosa abbiamo organizzato il World meeting a Sorrento ed è stato un grande successo, il migliore della storia della Icrs – ricorda Alberto Gobbi –. Il dicembre scorso a Milano, sempre in collaborazione con la dottoressa Kon, abbiamo organizzato il focus meeting “I’m not ready for metal”, mentre a gennaio di quest’anno ho organizzato a San Diego un Summit Icrs dal titolo: “Bio-orthopaedics in sports medicine”. Un meeting particolare perché ho invitato i massimi ricercatori in ambito ortobiologico e altri esperti chirurghi internazionali e medici sportivi di altissimo livello che devono trattare il paziente non chirurgicamente. Con loro abbiamo provato a chiarire i limiti del conservativo, per capire quali sono le indicazioni chirurgiche e i principi di base per cui una terapia “biologica” possa essere indicata nel trattamento di una patologia».
Il prossimo appuntamento con la società scientifica è l’Icrs Focus Meeting dal titolo “One step cartilage repair”, in programma a Roma dal 5 al 7 giugno.
Professor Gobbi, in che modo l’attenzione agli aspetti biologici ha cambiato l’ortopedia?
Classicamente l’ortopedico ha sempre cercato di influenzare la guarigione di una lesione dell’apparato muscolo scheletrico ottimizzando l’ambiente biomeccanico, ovvero stabilizzando una frattura, ricostruendo un legamento o riattaccando un tendine in modo da limitare ulteriori danni ai tessuti. L’immobilità, lo scarico e “madre natura” avrebbero dovuto fare il resto e condurre alla guarigione.
Un mio vecchio maestro che ha trascorso anni a studiare la biologia della guarigione delle fratture e i gessi funzionali, quando vedeva una tibia con una placca e numerose viti, con sarcasmo toscano diceva: «è guarita nonostante le cure mediche». Era un precursore di quella che oggi chiamo la “bio-ortopedia”: il medico non guarda più solo la parte lesa ma considera l’organo e l’intero organismo; fattori sistemici come il diabete, il fumo o l’ipercolesterolemia oppure locali come la degenerazione tissutale o l’ipovascolarizzazione assumono importanza al momento di formulare una proposta terapeutica. Altrettanto si esplorano vie per migliorare la risposta dell’organismo e ottimizzare la guarigione, per cui sempre più spesso vengono impiegate terapie cellulari, fattori di crescita, cellule mesenchimali, citochine e bio-materiali.
Come si è evoluta negli anni la terapia ortobiologica?
L’acido ialuronico rappresenta la prima generazione di queste terapie ed è stato ampiamente utilizzato per via intrarticolare nella terapia dell’artrosi negli ultimi trent’anni.
Le preparazioni sono variate nel corso degli anni nella composizione, nel dosaggio, nel peso molecolare e reticolazione, comunque l’acido ialuronico è tuttora considerato un utile strumento terapeutico per l’artrosi nelle linee guida pubblicate da Oarsi (OsteoArthritis Research Society International).
E la seconda generazione?
La seconda generazione è il Prp, inizialmente utilizzato in campo odontoiatrico e successivamente applicato empiricamente dagli ortopedici in Spagna con Eduardo Anitua e Ramon Cugat, che sono stati i precursori della grande ondata che venne successivamente propagandata oltre oceano negli Stati Uniti.
Dopo molti anni di grande confusione, con medici entusiasti e molti altri assolutamente contrari, passati i primi anni in cui gli articoli scientifici erano in gran parte case series, sono apparsi studi prospettici randomizzati che hanno chiarito le possibili applicazioni del Prp in campo ortopedico e le caratteristiche di composizione affinché il prodotto possa essere efficace.
Quali principi si sono affermati successivamente al Prp?
La terza generazione di terapie ortobiologiche è rappresentata dall’impiego di aspirato midollare autologo (Bmc); molti studi hanno infatti dimostrato che le cellule contenute nel Bmc possono differenziarsi in diverse linee, ad esempio osteogenica o condrogenica, come evidenziato dall’espressione in coltura di specifiche molecole extracellulari.
La scarsa conoscenza degli specifici marcatori di superficie delle cosiddette cellule staminali mesenchimali (MSCs) ha rallentato l’analisi di questi progenitori per molti anni.
Attualmente si ritiene che queste cellule siano prevalentemente localizzate nel tessuto perivascolare e pertanto denominate periciti e che una probabile attivazione e trasformazione dei periciti possa innescare la produzione di progenitori e fattori immunomodulanti con capacità trofiche riparative che agiscono con effetto paracrino.
Partendo da queste osservazioni si ritiene oggi che l’attività di queste cellule sia influenzata dal micro ambiente circostante, definito niche.
Il Bmc non contiene solo cellule ematopoietiche primitive (HSCs) e MSCs, ma anche altre cellule che favoriscono l’angiogenesi e la produzione di fattori di crescita.
Basandomi su questi dati e su una mia intuizione, iniziai ad utilizzare Bmac e scaffolds, e nel 2005 presentai per la prima volta alla Wake Forest University di Winston-Salem, negli Usa, uno studio sull’impiego di una matrice a base di acido ialuronico prodotta in Italia in associazione con Bmac per la riparazione dei difetti cartilaginei con tecnica “one step”. Ricordo ancora i volti perplessi e le domande stimolanti che mi vennero poste da Savio Woo, che aveva intuito i possibili campi di applicazione di tale metodica.
Da allora sono apparse numerose pubblicazioni e recentemente abbiamo presentato i risultati a dieci anni di follow-up, che mostrano una netta superiorità laddove confrontati con altri metodi “one step” quali le microfratture, offrendo inoltre la possibilità di trattare ampie lesioni e aprendo il percorso alla cosiddetta “artroplastica biologica”.
Dove ci sta portando la ricerca di oggi?
Negli ultimi anni si è discusso molto della quarta generazione, ovvero l’impiego di altre fonti quali ad esempio il tessuto adiposo mediante lipoaspirato e successiva micro frammentazione o processazione allo scopo di isolare cellule mesenchimali nella frazione stromale del grasso.
Teoricamente il tessuto adiposo dovrebbe contenere un maggior numero di cellule rispetto al midollo (ADMSCs) e il prelievo è più semplice, soprattutto in soggetti con abbondante tessuto adiposo, tuttavia gli studi effettuati non dimostrano una superiorità nella capacità osteo-condrogenica. È stato dimostrato un effetto antinfiammatorio e di viscosupplementazione che potrebbe essere alla base dell’effetto favorevole di tali preparati nell’artrosi.
Nuove emergenti tecnologie includono la possibilità di utilizzare preparati allogenici, come quelli derivati dal liquido ammniotico o dal cordone ombelicale: sebbene siano prospettive interessanti, al momento non sono disponibili in letteratura studi clinici tali da giustificare l’impiego su vasta scala di questi prodotti.
Qual è la situazione riguardo alla ricerca e all’applicazione clinica di membrane e scaffold?
È interessante notare come la ricerca italiana si sia distinta in questo settore.
Fab (Fidia Advanced Biopolimers) già negli anni Novanta aveva sviluppato una matrice a base di acido ialuronico tridimensionale che è stata per molti anni utilizzata previa coltivazione di condrociti (Hyalograft) con interessanti risultati, e solo le normative europee in materia di Gmp (good manufacturing practice) hanno determinato la chiusura di una dinamica azienda e la successiva acquisizione da parte di una azienda americana. La stessa matrice viene ora utilizzata con Bmac in “one step”.
D’altra parte sono stati sviluppati numerosi scaffold bioingegnerizzati e un’altra azienda italiana (Finceramica) ha dedicato anni di ricerca nella creazione di un impianto nanostrutturato biomimetico e bioriassorbibile che mima la normale anatomia dell’unità osteocondrale.
Sono stati poi recentemente presentati altri tessuti bioingegnerizzati a cui vengono attribuite capacità rigenerative, ma per ora gli studi clinici sono solo preliminari e condotti su piccoli numeri.
Infine, quali sono le prospettive future dell’ortobiologia?
Le prospettive future a mio avviso riguardano diversi settori: da un lato confido in un affinamento nella capacità di regolazione dell’omeostasi articolare mediante l’impiego di interleuchine, citochine e immunomodulatori con capacità di inibire l’attività infiammatoria e intervenire alla base sui meccanismi che generano la degenerazione artrosica.
Dall’altro lato credo che miglioreranno le nostre capacità di impiegare le cellule staminali autologhe o eterologhe; estremamente interessante è la possibilità di utilizzare cellule allogeniche riducendo molto i costi di cultura e chirurgici; alcuni studi sono stati pubblicati riguardo all’impiego di cellule derivate da cordone ombelicale o da frammenti di cartilagine da cui vengono estratti “chondrons”, che mescolati con cellule staminali mesenchimali attiverebbero con effetto paracrino la condrogenesi.
Un altro capitolo è quello delle cosiddette Induced Pluripotent Stem Cells (iPSCs), ovvero cellule differenziate che possono essere riprogrammate a uno stato simile a quello embrionale ed essere utilizzate a scopo rigenerativo con ampi campi di impiego.
UN’OASI PER LA RICERCA IN ORTOBIOLOGIA_La Oasi Bioresearch Foundation Gobbi Onlus è una fondazione senza fini di lucro che raccoglie medici e ricercatori che lavorano allo scopo di favorire la ricerca medico-scientifica in ambito ortopedico. La fondazione è attiva da un decennio, ma l’incubazione di questo progetto iniziò alla fine degli anni Ottanta, quando Alberto Gobbi partecipò da volontario ad alcuni progetti umanitari in paesi poveri del Sud America, intuendo che il miglior aiuto per queste popolazioni era quello di sostenere la formazione dei loro giovani medici. Il giovane medico italiano decise di condividere professionalità, metodi di ricerca e utilizzo di tecnologie innovative in campo ortopedico, nozioni che a sua volta aveva appreso in Italia e in lunghi periodi di permanenza negli Stati Uniti. Decisivo si rivelò l’incontro con Don Luigi Verzé, fondatore del San Raffaele di Milano, e la collaborazione tramite Aispo, l’organizzazione umanitaria dell’istituto con la quale il dottor Gobbi collaborò per un decennio.
Oasi Bioresearch Foundation Gobbi Onlus ogni anno istituisce borse di studio destinate a giovani medici provenienti da paesi emergenti, allo scopo di aiutare la ricerca sempre nel rispetto del paziente e dell’amore per la vita. La comprensione dei processi che conducono all’invecchiamento articolare rappresenta uno snodo fondamentale per innalzare la qualità di vita e può ridurre significativamente i costi sociali legati alle patologie degenerative.
A Milano la Oasi Bioresearch Foundation Gobbi Onlus riunisce medici, bioingegneri e ricercatori che studiano come le cellule mesenchimali, staminali e i cosiddetti fattori di crescita possano essere impiegati con successo nel trattamento di molte affezioni traumatiche e cronico-degenerative. «L’obiettivo – dice Gobbi – è la messa a fuoco di nuovi orizzonti nella terapia delle patologie dell’apparato locomotore favorendo la collaborazione multidisciplinare tra scienziati di diversa estrazione e i clinici che infine curano il paziente. La speranza è che, in un prossimo futuro, la terapia biologica con cellule staminali possa essere impiegata con successo anche nel trattamento di lesioni oggi ritenute incurabili quali le lesioni midollari, purtroppo così frequenti in molti giovani che praticano attività sportiva».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia